Non è solo la campagna elettorale delle promesse roboanti. E’ anche la campagna elettorale della nostalgia. Una nostalgia che non ha il potere di trasfigurare la realtà, se non nella percezione di chi vi crede così intensamente da costruirsene una parallela, ma ha il fascino di una sirena incantatrice. Almeno così sperano i politici che, da destra a sinistra, hanno deciso di puntare le loro carte sulla mitizzazione del passato. Il caso Embraco si adatta perfettamente allo scopo: la multinazionale americana, simbolo del capitale apolide (come direbbe un giovane filosofo nazionalmarxista assai in voga nei talk show), che irride il governo, mette sulla strada i lavoratori, ricorre senza ritegno alla giustificazione delle aspettative della Borsa come scudo contro le critiche. Comportamenti che, presi uno per uno così come nell’insieme, bastano e avanzano a suscitare in chiunque un briciolo di ribrezzo. Ma non è questo, se non come conseguenza indiretta, ciò che si propongono i nostri nostalgici, che di Embraco mirano a fare il paradigma di una realtà - la globalizzazione, i mercati aperti, l’Europa - da mostrificare in blocco perché rifulga luminoso l’astro del ”mondo di ieri”. Questo ”ieri” che, a leggere certe dichiarazioni in libertà consegnate ai social media, trova una sistemazione precisa nella storia del Novecento. Qui però si insinuano le prime differenze tra nostalgici di destra e di sinistra. Uno come Simone Di Stefano, leader e candidato premier di Casapound, ha in testa di sicuro gli anni Trenta quando su Twitter invoca ”una nuova Iri”, anche se è dubbio che la sua Iri, concepita come semplice agente di nazionalizzazioni (”Lo Stato rileva l’azienda e con gli operai continua la produzione”), somiglierebbe a quella costruita da Beneduce, Menichella e Mattioli. Con Giorgio Cremaschi, una vita in minoranza nella Fiom, poi una rapida ascensione alle vette del grillismo sociale per approdare infine sui lidi a lui più familiari di Potere al Popolo, siamo dalle parti della Ostalgie, il rimpianto che negli anni Novanta animava i reduci della Ddr venuti a repentinamente a contatto con l’opulenta, individualista e consumista Germania occidentale. ”Unica soluzione NAZIONALIZZAZIONE”, lo scrive tutto maiuscolo Cremaschi, e per un momento davanti a te tornano a scorrere le immagini di Good bye, Lenin!, deliziosa parodia della Ostalgie girata nel 2003 da Wolfgang Becker. Ma se proprio non vogliamo farci mancare nulla, è al profilo Twitter di Stefano Fassina che dobbiamo rivolgerci. Economista prima che Bersani lo convincesse a cimentarsi con la politica, già al Fondo monetario internazionale, poi in forza al governo Letta, Fassina adesso se la prende, oltre che con Calenda e il Pd, con l’Europa e le ”regole del mercato unico” che promuovono la ”corsa intra UE alle migliori condizioni di sfruttamento del lavoro”. Pure Fassina, si percepisce, ha nostalgia di qualcosa. Il problema, nel suo caso, è capire di che cosa.