Industry 4.0 è già una realtà, e per evitare di esserne travolti, come è accaduto con la globalizzazione, occorre gestire la fase di transizione. Come? Attraverso una visione strategica di politica industriale, il confronto con le parti sociali e poi gli investimenti. Sono questi i tre presupposti per favorire la digitalizzazione dell'industria italiana secondo i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Ugl intervenuti alla Commissione attività produttive della Camera nell'ambito dell'indagine conoscitiva su Industria 4.0. "Il cuore del problema sono gli investimenti. Non vi potrà essere un ritorno ad un solido sviluppo se non ripartono gli investimenti", afferma il segretario confederale della Fim Cisl Giuseppe Farina. Farina sottolinea in particolare la necessità di "accelerare la realizzazione delle infrastrutture fisiche sulla banda larga e ultra larga, piattaforma irrinunciabile per sviluppare Industry 4.0" e ricorda come, secondo un rapporto di Roland Berger, se l'Europa vuole raggiungere l'obiettivo del 20% di Pil da parte dell'industria nel 2030 deve investire 90 miliardi di euro per i prossimi 15 anni".
"Si tratta di una rivoluzione già iniziata - riprende il segretario confederale. Tale traiettoria guiderà nel prossimo futuro la produzione manifatturiera e le forme del lavoro. E' l'integrazione di 9 tecnologie diverse su cui in Italia siamo molto forti, ma altrettanto deboli nella capacità di integrazione nelle nuove architetture industriali. Il Governo ora deve fare la sua parte con coraggio per recuperare il clamoroso ritardo accumulato in questi anni”. “Non basta organizzare convegni, ma servono importanti investimenti sulle nuove tecnologie, a partire dalla banda larga ed ultra larga, dal diritto soggettivo alla formazione che colmi il gap di competenze, tra i più ampi in Europa anche perché in assenza di un forte sistema duale. Occorre anche un profondo cambiamento culturale e nuovi modelli organizzativi, in cui sindacato e lavoratori possano svolgere un ruolo importante. E’ per questo che da tempo stiamo insistendo affinché le imprese riavviino i programmi di investimento troppo a lungo rimandati e che si realizzi una vera partecipazione dei lavoratori alle strategie aziendali. Dobbiamo recuperare una visione positiva e progettuale. L’Europa se non vuole perdere la sua vocazione industriale dovrà investire sulla manifattura intelligente 90 miliardi di euro all’anno fino al 2030, una sfida, questa, che vede la Germania e la Cina già molto avanti. Ciò che serve al nostro Paese oggi - conclude Farina - è un grande piano industriale e strategico, fondamentale per recuperare produttività, un piano che favorisca il back reshoring e soprattutto riposizioni l’Italia tra i leader mondiali della manifattura industriale”.
"Siamo di fronte a un vuoto enorme di politica industriale da parte del governo e del ministero dello Sviluppo che non è colmabile da un pool di esperti", osserva per la Cgil Rosario Strazzullo evidenziando l'importanza di una strategia chiara e di confronto con i sindacati. Il ruolo delle parti sociali per la digitalizzazione dell'industria viene sottolineato anche dal dirigente della Uil Romeo Scarpari, convinto che "il processo di innovazione tecnologica e digitale debba essere gestito e indirizzato mediante la contrattazione collettiva e la partecipazione" per scongiurare il rischio di "scenari occupazionali gravissimi". E' più ottimistica, invece, la visione del segretario generale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, che ritiene la rivoluzione industriale 4.0 "un'opportunità per accrescere la produttività delle imprese italiane" e cita l'esempio della Fca di Pomigliano D'Arco come modello di transizione tra Industria 3.0 e 4.0 che ha visto migliorare le condizioni di lavoro.
(Approfondimento domani su Conquiste Tabloid)