Potenza ( dal nostro inviato ) Tra coloro che hanno colto un segnale positivo nell'esito del referendum sulle trivelle in Basilicata (unica regione italiana ad aver superato il quorum) ci sono sicuramente loro: Alessandro Ferri e Valeria Tempone, rispettivamente presidente e direttrice di Legambiente Basilicata. "Si tratta del percorso finale di un'aumentata sensibilità dei cittadini lucani verso lo scarso successo dell'avventura petrolifera, che pure all'inizio era stata sostenuta da tutte le forze sociali", commentano. La Val d'Agri, dove a votare è andato solo poco più del 30 per cento degli aventi diritto fa caso a sé: lì ci sono i pozzi e le attività collegate alle estrazioni che hanno fatto affluire molto denaro nelle casse pubbliche. E occorre tenerne conto. Ma lì sono arrivate anche le inchieste della magistratura. E i vertici di Legambiente non fanno sconti alle multinazionali del petrolio. "Noi chiediamo il ripristino delle condizioni di legalità e trasparenza che riguardano qualunque attività industriale che si eserciti sul territorio. E per questo sollecitiamo la Regione Basilicata ad avviare una profonda riflessione sul ruolo dell'Agenzia regionale di protezione dell'ambiente (l'Arpab, ndr)". Ma l'invito del presidente di Legambiente va oltre e approda ad una prassi concertativa tipica di altri momenti storici, vale a dire l'apertura immediata di un tavolo che raccolga tutti gli attori del territorio: classe politica, forze sociali, movimenti ambientalisti e no-triv, associazioni degli agricolti e operatori turistici per pensare ad una strategia di uscita dal fossile. "Noi - spiega Ferri - abbiamo fatto due proposte a livello nazionale. La prima è contenuta nel cosiddetto 'Manifesto dell'autoproduzione' che prevede una serie di misure per sbloccare l'autoproduzione da fonte rinnovabile consentendo che un cittadino, un comune, un'impresa possano autoprodurre energia e distribuirla tra i vari soggetti senza bisogno di passare attraverso la rete. L'altra riguarda la possibilità di far passare il biometano all'interno della rete Snam, che consentirebbe a tanti agricoltori che possono produrre biometano utilizzando gli scarti della produzione agricola di contribuire al fabbisogno energetico italiano". E le royalties? La Basilicata può farne a meno? La direttrice di Legambiente attacca: "Non può essere questa la chiave di lettura, perché se pensiamo solo alle royalties vediamo il problema da una sola angolazione. Il problema è che fino ad oggi le royalties sono state utilizzate per pagare prevalentemente le attività ordinarie invece che essere impiegate per creare uno sviluppo reale che andasse oltre il petrolio. E questo è accaduto anche nei comuni interessati dall'attività estrattiva, Viggiano in testa, nei quali tutta l'economia ruota esclusivamente attorno al petrolio, senza aver pianificato alcuna via d'uscita". E ai lavoratori dell'Eni e delle aziende dell'indotto cosa andate a dire? "Che quando parliamo di una via d'uscita dall'economia del petrolio, - spiega Valeria Tempone - noi immaginiamo una riconversione. Che significa, come è avvenuto in altre parti d'Italia con impianti anche più grandi e più impattanti come le raffinerie, riconvertire queste attività verso la green economy salvaguardando l'occupazione non solo in termini numerici ma anche attraverso la riqualificazione delle professionalità ed il miglioramento della qualità della vita all'interno degli stabilimenti". Ecco, dunque, il nodo di un processo di trasformazione vero dall'economia del fossile alla green economy, che non può prescindere da un ruolo delle multinazionali del petrolio. Gli stessi vertici di Legambiente lo sostengono. "Per noi - conclude Ferri - non è un paradosso chiedere alla classe politica lucana di avviare una trattativa con la Total, la Shell, ma soprattutto con l'Eni, perchè mettano a disposizione anche qui una parte delle competenze e delle risorse destinate al superamento dell'economia del fossile che stanno investendo altrove, in altre regioni e in altri territori del mondo".
Ester Crea