Secondo l’Istat un italiano su 12 è assolutamente povero, ovvero non è in grado di vivere una vita umanamente dignitosa, cifra fortemente cresciuta in questi anni di crisi economica ma che sembra ora perlomeno stabilizzata. Tra questi 4.742.000 individui i minori sono 1. 292 mila e i giovani 18-34 anni 1.017.000.
La distribuzione del reddito è fortemente diseguale e il contrasto tra redditi più alti e redditi più bassi sta crescendo. A questo si aggiunge il fatto che la spesa sociale è sempre più squilibrata e penalizza le giovani generazioni a cui vanno solo il 4% dell’insieme delle prestazioni, come dichiara l’Inps.
Da pochi mesi l’Italia si è dotata di una misura generale che prova a contrastare la povertà, il reddito di inclusione, in colpevole ritardo rispetto agli altri Paesi europei e con troppo poche risorse. Da questi dati parte l’analisi dell’economista Emanuele Ranci Ortigosa che ha appena pubblicato il volume ”Contro la povertà, analisi economica e politiche a confronto” (con premessa del Presidente dell’Inps Tito Boeri).
Presidente emerito e direttore scientifico dell’Irs, Istituto per la ricerca Sociale, e di welforum.it, Osservatorio nazionale sulle politiche sociali, ha insegnato Politica Sociale in varie università e ha partecipato al gruppo di lavoro sul reddito minimo istituito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ranci Ortigosa nel volume raccoglie e commenta dati aggiornati, confronta il nostro paese con il resto d’Europa, riassume la faticosa storia delle politiche sociali in Italia dagli anni 80 ad oggi per poi analizzare e chiarire con un linguaggio accessibile le varie misure di contrasto alla povertà arrivando a dare utili indicazioni per future misure sostenibili economicamente che possano finalmente intervenire in modo efficace.
D) Per prima cosa, professore, come giudica nel complesso il dibattito politico sulle misure di contrasto alla povertà: concreto o strumentale?
R) Il tema della povertà non è mai stato così presente nel dibattito politico e nei programmi elettorali. Questo dipende in primo luogo dal fatto che gli italiani in condizione di povertà mai erano cresciuti tanto rapidamente come è avvenuto nella crisi economica e sociale che si è aperta nel 2007 e mai, da decenni, erano stati tanto numerosi, 4 milioni e 750 mila. Sono persone per l’Istat “assolutamente” povere, cioè senza un reddito adeguato ad una vita umanamente dignitosa.
Ha poi concorso a tale attenzione anche, direi dal 2013, la contestuale iniziativa da un lato del M5S, che ne ha fatto un proprio cavallo di battaglia, dall’altro dei governi Letta e Renzi, che sia pur lentamente hanno avviato una svolta con misure specifiche di contrasto alla povertà, come il Sia e poi il Rei.
Ma non possiamo ignorare due altri importanti fattori: la nascita di una attiva lobby sociale che ha dato voce a chi non ne aveva, l’Alleanza contro la povertà che ha coinvolto anche i sindacati, e la crescente attenzione al tema di una parte del mondo culturale e della pubblicistica.
Credo quindi che l’attenzione non potrà dissolversi nel nulla. Anche se sappiamo che molte promesse elettorali sono state formulate e giocate per creare illusioni e catturare voti, e che la loro realizzazione in tempi brevi comporterebbe costi ben difficilmente agibili in tempi brevi, qualcosa si farà.
D) Quali sono le principali differenze, anche in termini di compatibilità economiche, tra le proposte in campo: reddito di inclusione già in vigore, reddito di cittadinanza, reddito di dignità?
R) Sono proposte che sono tutte di reddito minimo. Anche il reddito di cittadinanza proposto da M5S è tutt’altro da quello elaborato in letteratura. Sul reddito di dignità è stato da Forza Italia detto ben poco. Di più sappiamo sul Rei, che si sta attuando e che a luglio diverrà propriamente universalistico, senza quindi le attuali restrizioni per categorie di beneficiari, e sul reddito di cittadinanza, sul quale è stato presentato anni fa una specifica proposta legge. Le differenze non sono però poche. Stanno nella individuazione dei beneficiari, nel criterio di selezione (reddito e patrimonio, cioè Isee, o solo reddito), nella soglia di selezione e di integrazione del reddito (povertà assoluta, quota sulla povertà assoluta, rischio di povertà definito dall’Ue, ecc.), enfasi o meno sulle misure di sostegno e accompagnamento (progetto personalizzato o meno, priorità ai servizi sociali o ai centri per l’impiego, risorse per potenziare tali servizi), conseguente ammontare molto differenziato della spesa prevista. Il Rei attualmente costa meno di tre miliardi e però è assolutamente insufficiente. Dovrebbe impegnare tre volte le attuali risorse fra erogazioni monetarie e sviluppo dei sevizi. Il reddito di cittadinanza costa secondo i proponenti quasi il doppio, secondo altri di più. Per il reddito di dignità si parla di 29/30 miliardi, ma come ho detto la proposta è poco definita.
D) Beppe Grillo va oltre e ipotizza un reddito di nascita, affermando l'inutilità del lavoro retribuito. Una provocazione o una reale prospettiva?
R) Direi proprio una provocazione per tenere un aggancio con la teoria del reddito di cittadinanza, che però non dice proprio questo!
D) Qual è a suo giudizio, tra quelle tracciate, la strada più efficace da percorrere?
R) Al di là delle etichette, le proposte si collocano tutte nella tipologia dei redditi minimi, e spero che questo concorra a non dissolvere quanto fatto, ma a partire proprio dal Rei in atto, per potenziarlo e svilupparlo poi anche secondo specifiche visioni. Proprio per affermare questa esigenza, sollecitato dall’editore Brioschi, ho scritto il mio libro “Contro la povertà” in tempi rapidissimi, per uscire tempestivamente rispetto alle dinamiche politico-elettorali e sollecitare tutte le parti a salvaguardare quanto, vincendo molte resistenze e con grande fatica, a livello politico e anche nel lavoro sul territorio, finalmente è stato fatto, per superane i limiti e andare oltre.
D) In che modo il sindacato, che ha dato un forte contributo all'introduzione del Rei, deve ora continuare la propria battaglia su questo tema?
R) La spinta dell’Alleanza, di cui i sindacati sono componente importante, non deve fermarsi perché con queste incertezze sul futuro governo nulla è garantito. E comunque molto c’è da fare anche sul campo per rendere i servizi adeguati e funzionali, per consistenza e competenza, ad attuare il Rei, anche solo come ora è e secondo le attuali previsioni (inadeguate) di sviluppo. Il sindacato deve, come spesso accade, lavorare sulle istituzioni e sui territori.
D) In che altri modi e con quali altre misure si deve combattere la povertà in Italia?
R) In Italia abbiamo più di venti misure, nazionali e locali, di sostegno del reddito contro la povertà. Alcune valgono più di dieci miliardi, altre qualche decina di milioni. Ognuna di queste individua i beneficiari su criteri diversi, di molte i poveri non conoscono neppure l’esistenza. Buona parte di queste risorse va a famiglie benestanti e talora anche ricche. La loro efficacia redistributiva e di tutela dei non abbienti è molto inferiore a quella di altri paesi europei. Si tratta di una situazione non equa nè efficace.
D) Più in generale, quale approccio alle politiche sociali si augura abbia il prossimo Governo?
R) E’ essenziale, ma non sufficiente, mantenere e sviluppare il Rei o analoga misura. Ma occorre anche riprendere in mano le misure esistenti, che nell’insieme impegnano risorse pari a sette/otto volte quelle attuali del Rei, riconsiderarle e, con grande prudenza e gradualità per non danneggiare chi va invece tutelato e sostenuto, procedere ai necessari accorpamenti e alle necessarie revisioni e ridefinizioni. Di fronte alla gravità del problema povertà, e all’impegno di risorse di ogni tipo che questo richiede, non possiamo permetterci di lasciare com’è tutto quanto a una seria verifica risulta dispersivo e inefficace rispetto all’obiettivo di promozione e inclusione di tante famiglie. E soprattutto di tanti giovani, perché è soprattutto fra i minori e le giovani famiglie che la povertà è cresciuta. Danneggiando le persone, nelle loro prospettive di vita, ma anche l’intero paese, perché è provato ormai che disuguaglianza e povertà nuocciono anche alla crescita economica, quella tradizionale, del Pil.
D) Tra le esperienze straniere più significative cosa c'è di utilmente importabile in Italia?
R) Nel mio libro ho voluto una appendice dedicata ai confronti fra i paesi europei, curata da un’esperta, Chiara Crepaldi, autrice di rapporti sul tema per le autorità europee. Una tabella evidenzia quanto le misure di contrasto alla povertà dei singoli paesi erogano a una persona povera ogni mese: vanno da 7 euro a oltre mille. Pur tenendo conto del diverso costo della vita una differenza inaccettabile!
Oltre alla differenza dell’erogazione, ci sono forti differenze anche proprio nei sistemi e nelle misure di intervento. Perché ciascuno di queste si colloca in un più generale sistema di protezione sociale che riguarda anche lavoro, sanità, casa, previdenza. Nessuno può quindi essere da noi copiato, ma vi sono paesi con lunga esperienza di redditi minimi cui possiamo ispirarci e confrontarci, vedendo anche i risultati che hanno conseguito.
Su un foglio sindacale vorrei concludere osservando che il lavoro è fondamentale per combattere la povertà, anche se spesso non basta, dato che stanno crescendo i lavoratori poveri. Ma difficilmente una misura di contrasto alla povertà può conseguire grandi esiti occupazionali, in contesti dove il lavoro manca. Scrivo nel mio libro che è meglio insegnare a pescare, piuttosto che dare soltanto un pesce da mangiare, ma che a chi ancora non sa o non può pescare, bisogna comunque assicurare quel pesce quotidiano. Perché consentire a una famiglia di vivere e crescere figli dignitosamente è già di per sè una importante conquista sociale.