Le sorprese sono numerose. A partire dalle tre bocciature e mezzo all’esame di Storia del diritto italiano. Con il professor Francesco Calasso, padre del più noto Roberto, che la prima volta gli scagliò il libretto universitario sulla fronte. Poi, nell’agosto del 1961, la traduzione in stato d’arresto nel carcere di Aosta per il reato di espatrio clandestino.
Il volume di uno dei più famosi sociologi italiani (Giuseppe De Rita con Lorenzo Salvia, Oligarca per caso: il racconto della vita di un italiano alla ricerca degli italiani, Milano, Solferino, 2024, pp. 224, euro 17,50) è destinato a scalare le classifiche dei libri più venduti in Italia. Non ha un indice dei nomi, ma nomi e cognomi di personaggi più o meno conosciuti abbondano nelle pagine che in alcuni passaggi suscitano scoppi di risa irrefrenabili.
L’oligarca, chiarisce subito il fondatore del Censis (il centro studi più conosciuto d’I talia che da quasi sessant’anni sforna il Rapporto sulla situazione sociale del paese), può avere un ruolo positivo, anzi fondamentale, in una società disordinata e frammentata come quella moderna. Ha un tessuto di potere che non dipende da un mandato verticale che cade dall’alto.
Quello è il gerarca, il cui potere viene meno quando cade il suo dante causa. Il potere dell’oligarca sta nella capacità di tessere rapporti in linea orizzontale con quelle cento-duecento persone che in un sistema complesso possono regolare singole materie ma hanno sempre il bisogno di confrontarsi con gli altri.
L’elenco degli oligarchi è lungo: da Angelo Costa a Eugenio Scalfari, da Ugo La Malfa (il vero politico oligarca) a Riccardo Misasi, da Gianni Letta (il principe degli oligarchi) a Romano Prodi.
E poi Giulio Tremonti, Ugo Zampetti e così via. Gerardo Chiaromonte era, per la sua capacità di relazione, il vero oligarca del Pci, il più intelligente di tutti i comunisti italiani. “Giorgio Napolitano – scrive De Rita – aveva grandi sospetti su di me fino a quando gli dissi che ero amico di Gerardo”. Un nome che appare più volte nel libro è quello di Giulio Pastore (attorno al quale ruotava il gruppo oligarca di cui faceva parte Mario Romani), il padre fondatore della Cisl e più volte ministro per il Mezzogiorno. A lui, a Vincenzo Saba ed Enzo Scotti è legato uno dei tanti episodi gustosi che costellano il racconto di De Rita.
Tra gli oligarchi del sindacato sono menzionati Giuseppe Di Vittorio e Bruno Trentin, conosciuto ai tempi del Cnel. Agli anni della presidenza del Cnel (1989-2000) è dedicato un intero capitolo. Anche qui i nomi di figure che animarono quella stagione sono numerosi. Tra questi, Guglielmo Epifani e Franco Marini con una citazione particolare per Paolo Annibaldi e Franco Bentivogli, i due vicepresidenti che sostennero il rinnovamento del Consiglio.
Tra i documenti da lui elaborati De Rita ricorda soprattutto un rapporto del 1968 sul futuro della Rai e la relazione sulla evangelizzazione e promozione umana preparata per il convegno della Cei del 1976.
Con toni misurati De Rita esprime considerazioni su tanti altri personaggi, compreso Papa Bergoglio.
Il nome che ricorre più spesso nel libro è quello di Giorgio Ceriani Sebregondi che morì nel 1958 all’età di 42 anni. A Sebregondi è intitolato un libro di Edizioni Lavoro, curato da Carlo Felice Casula.
Il volume, pubblicato nel 1991 e ristampato nel 2010, fu fortemente voluto da Giuseppe De Rita che ne scrisse l’introduzione.
Un ricordo personale. Nel 1971 partecipai ad una prova selettiva per l’asse gnamento di una borsa di studio al Censis. All’epoca una borsa di studio al Censis era considerata un trampolino di lancio notevole, un sicuro investimento per il proprio futuro professionale. La prova – uno scritto ed un colloquio con De Rita e con l’allora direttore del Censis Giuseppe Medusa – si svolse ad Ostia. Tra la folta schiera dei giovani neolaureati aspiranti borsisti ebbe la meglio il più bravo: Claudio Storti. Claudio è morto l’1 giugno scorso, il giorno del suo settantottesimo compleanno.