Sabato 23 novembre 2024, ore 2:19

Fumetti

Pluto compie 90 anni

di ENZO VERRENGIA

Compie 90 anni Pluto, il cane di Topolino. La sua prima apparizione in un cartone animato risale infatti al 30 aprile 1931, quando esce Topolino a caccia. Poi, dall’8 al 18 luglio dello stesso anno, debutta anche in versione grafica con la storia a strisce quotidiane Topolino domatore e saltimbanco.

Per la verità, aveva già avuto due precursori. Nel settembre del 1930 era apparso il cortometraggio Fuga di Topolino, con un anonimo limiere (oggi si direbbe “cane molecolare”) che bracca un insolito Topolino evaso. Poco dopo, in Il picnic di Topolino si vede un esemplare che ne anticipa i tratti ma si chiama Rover e appartiene a Minni.

Dichiarò Ben Sharpsteen, animatore della Disney: «Pensavamo che quel nome fosse troppo comune, così abbiamo dovuto cercarne uno alternativo. Lo cambiammo in Pluto il cucciolone (Pluto the Pup) ma onestamente non rammento perché». Qualcuno vide un rapporto che il fatto che il 24 marzo 1930, dieci mesi prima, il nono pianeta del sistema solare era stato battezzato Plutone.

Diversamente dagli altri protagonisti dell’universo zoomorfo di Walt Disney, Pluto serba intatte le sembianze canine e l’andatura a quattro zampe. Anche le sue modalità di azione non sono improntate all’intelligenza umana dei suoi compagni di avventure. È un cane da compagnia a tutti gli effetti, che convoglia nelle pellicole e nei fumetti il tipico atteggiamento animal friendly della classe media negli Stati Uniti, quella abbarbicata nelle casette dalle facciate di legno così decorative e abbastanza scomode per gli standard europei.

Uno spirito che aleggia anche negli altri cani targati Disney. Si pensi a Lilli e il vagabondo, il lungometraggio a cartoni animati del 1955, tratto dal racconto di Ward Greene Happy Dan - The Cynical Dog, pubblicato su “Cosmopolitan” dieci anni prima. Qui, la storia d’amore tra una femmina di cocker spaniel e un incrocio diventa occasione di tradurre nell’etologia della specie canina i valori fondanti di quella piccola borghesia che costituiva la struttura portante del sogno americano e del destino manifesto.

Il tutto trasposto in chiave british con La carica dei 101, del 1961, dal romanzo omonimo di Dodie Smith. Pongo e Peggy, i dalmata che guideranno la fuga dei loro cuccioli e di altri che si sono aggiunti dalle grinfie di Crudelia De Mon, sono equivalenti a quattro zampe degli intrepidi inglesi che solo quindici anni prima avevano sconfitto il nazismo con il coraggio e la dedizione a un’idea di società equilibrata e solidale. La Londra ricostruita nel film a disegni irripetibili è più autentica di quella reale, che all’inizio degli anni ’60 si avviava ad essere smantellata dallo tsunami dei Beatles, del rock, della droga e della disgregazione civile.

Non solo Disney.

Altri cani dell’immaginario collettivo concorrono a un’epopea che precorre l’animalismo e lo colloca nella sfera di un legame impresso nella memoria genetica delle due specie amiche.

Il primo che viene in mente è Rin Tin Tin. La sua epopea precede alla lunga la serie di telefilm che incantarono i ragazzi di tutto il mondo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60. Fu il soldato americano Lee Duncan a trovare una coppia di pastori tedeschi in un canile bombardato della Lorena poco prima che finisse la prima guerra mondiale. Tornato con loro negli Stati Uniti, diede in adozione la femmina, Nanette, a dei conoscenti, mentre addestrò il maschio, Rinty, per esibirsi in diversi numeri di abilità. Fu notato dal produttore Darryl F. Zanuck, che lo scritturò come interprete di numerosi film muti. I suoi discendenti giunsero fino agli anni ’50, quando fu varata la serie televisiva in cui Rin Tin Tin si accompagnava al caporale-bambino Rusty. In realtà, i pastori tedeschi impiegati per le riprese erano diversi. Uno di loro, Flame, è sepolto ad Asnières, vicino Parigi, nel giardino di una villa lungo la Senna, trasformato nel 1999 in un cimitero per cani e altri animali domestici.

Pietosa la vicenda dell’attore che ne faceva la parte. Lee Arker, quando gli episodi terminarono e non se ne misero in cantiere degli altri, faticò a trovare nuovi ruoli e ben presto si mise a svolgere lavori umili che lo fecero precipitare nel vortice dell’alcolismo e delle tossicodipendenze. È morto da indigente nelle scorse settimane.

Più fortunato il cast de Il commissario Rex, di produzione austriaca. La serie originale di 10 stagioni ha sfondato in tutto il mondo, specialmente in Australia. Tanto che ne sono derivate produzioni autoctone in Italia e in Polonia. Anche qui, il cane impiegato dalla polizia per affiancare gli investigatori umani non è uno solo. Accattivanti le sue predilezioni culinarie, spesso in competizione con quelle dei suoi colleghi umani. Del resto, perfino Superman, nella sua versione degli anni ’50 e ’60, aveva un cane, Krypto, dotato dei suoi stessi ultrapoteri.

In Il mastino dei Baskerville, di Sir Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes affronta un bloodhound spietatamente utilizzato per spaventare a morte l’erede di una fortuna economica e rurale.

È il dark side dell’eterno canino, che ha risvolti mitologici.

«Cerbero, fiera crudele e diversa, / con tre gole caninamente latra / sovra la gente che quivi è sommersaCosì Dante nel Sesto Canto dell’Inferno. Il volgare dà consistenza al cane dell’immaginario religioso nella Grecia classica, allineato con una schiera di esemplari dalle fattezze di divinità. Consanguinei di Cerbero sono Otro, l’Idra di Lerna e la Chimera.

Tante temibili parvenze lo accomunano a Garm, il molosso infernale della tradizione norrena. È incatenato con il pelo ricoperto di sangue a guardia di Hel, il regno dei morti, dinanzi alla caverna di Gnipahellir. Però è disposto a lasciar passare le anima dirette all’oltretomba se gli offrono un pezzo di pane dolce intriso del loro sangue da vivi.

Gli antichi egizi ritrovavano nel Cane Randagio della Valle del Nicolo le sembianze di Anubi. Anche questo legato all’aldilà, in quanto giudice delle anime nel valutarne l’onestà durante la vita terrena.

Argo, il cane di Ulisse, non era soprannaturale, ma solo un compagno insostituibile, che lo riconosce quando fa ritorno a Itaca.

Sul rapporto con il proverbiale amico dell’uomo si è ben espresso Konrad Lorenz in E l’uomo incontrò il cane, dove scrive fra l’altro: «La fedeltà di un cane è un dono prezioso che impone obblighi morali non meno impegnativi dell’amicizia con un essere umano. Il legame con un cane fedele è altrettanto ‘eterno’ quanto possono esserlo, in genere i vincoli fra esseri viventi su questa terra».

( 29 aprile 2021 )

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