Il cinema di Paolo Sorrentino ricerca con coraggio visionario una verità scenica che riesca a rendere manifesta una propria interiorità concettuale, da comunicare allo spettatore, in cerca di persuasione. Si può cambiare prospettiva ma il suo linguaggio si consolida nella reiterata ricerca di accostare ambienti e animo umano, bellezza d'inquadrature e fede nell'uomo, che possa andare oltre la sua capacità di sopravvivere alle incertezze del suo tempo. Fra i variegati e malinconici personaggi del suo ultimo capolavoro Parthenope c’è lo scrittore americano John Ceever (impersonato da un dandy Gary Oldman), i cui temi ruotano nella duplicità della natura umana, come la disparità tra l’aspetto decoroso e la corruzione interiore. Figure che oscillano fra miseria e redenzione. Eppure Parthenope (è splendida Celeste Dalla Porta nel pieno del suo vigore giovanile) nasce nell’acqua e in ogni scena cercherà di dar forma al suo mito, quello della sirena frustrata per non essere riuscita a sedurre Ulisse, che si suicida dando vita, nella dissolvenza del suo corpo, alla città di Napoli. Lei sublima bellezza e solitudine, nella inespressa ricerca dell’antropologia e dei suoi significati (il metodo strutturale di Lévi-Strauss che “analizza le culture come sistemi di relazioni simboliche”). Sorrentino si narra nel secolo scorso a partire dal 1950, dalle quali si dipana una storia che va fuori dalla storia: filo conduttore resterà lo struggimento per la bellezza che sfiorisce (lo è anche Napoli), nel dramma che è l’età più florida e che ci vede talvolta infelici. La giovinezza sfuggita di colpo dalle mani del regista napoletano: la sua biografia qui è letta al femminile, nella sinuosa sensuale ragazza che cresce, matura, fino ai giorni nostri, docente di antropologia a Trento.
Diventa il corpo e l’anima, cospicua metafora delle contraddizioni palesi a Napoli. Che rappresenta la città “antropologica” per eccellenza, paradosso visivo dal paradiso dei faraglioni nel sole più lucente che contrasta con l’inferno dei bassi eterne memorie dal sottosuolo. C’è il sindaco Achille Lauro armatore che per farsi votare regalava una scarpa sola e l’altra dopo la sua elezione. E l’assolo di una emula di Sophia Loren (eccellente Luisa Ranieri) contro gli eccessi di una Napoli che finge di essere felice. La blasfemia del cardinale (un sublime Peppe Lanzetta) che smitizza il miracolo di San Gennaro e coniuga amplesso e incongrua spiritualità.
L’antropologia - nella lezione del professor Devoto Marotta/Silvio Orlando – quale chiave di lettura della conoscenza mai raggiunta: la serendipità del suo segreto terribile. È fin troppo ricco il film di Sorrentino nelle inquadrature da cinema pressoché perfetto.
Parthenope è la grande bellezza di Napoli. Sembra non avere una narrazione, eppure una trama ce l'ha, seminascosta da indugi estetizzanti, prodigio eccentrico: espressione massima nel ballo a tre su Era già tutto previsto di Cocciante anni '70.