Mai come stavolta l'elezione dell'inquilino del Quirinale si intreccia con la nomina dell'inquilino di di Palazzo Chigi.
È impensabile, lo sanno tutti – anche chi le chiede a gran voce – tornare subito alle urne.
Intanto perché il 2022 è un anno decisivo per il Pnrr, con altri obiettivi da centrare e le riforme da approvare per la regolare erogazione dei fondi Ue. E con altri provvedimenti legislativi per far fronte alla doppia emergenza sanitaria ed economica.
Ma c'è un altro elemento: praticamente nulla è pronto per le elezioni politiche anticipate. Dopo la riforma che ha tagliato il numero di deputati e senatori, servono nuovi regolamenti parlamentari per riordinare la vita quotidiana del Palazzo, tra i lavori delle commissioni e l’attività delle Aule. Tema apparentemente per specialisti, ma non è così. L'opinione pubblica, almeno quella più interessata alla politica, percepisce e non apprezza il fatto che l’attività legislativa delle Camere sia quasi totalmente assorbita dalla conversione dei decreti legge tramite questioni di fiducia poste dal Governo. Fenomeno accentuato dall'emergenza pandemica, ma in atto già da tempo. Bocciato il referendum istituzionale del 2016 che prevedeva anche il superamento del bicameralismo paritario, siamo passati ad un monocameralismo di fatto. Come osserva il costituzionalista Michele Ainis: una Camera istruisce e vota, l'altra si limita a mettere un timbro.
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Di fronte a tutto questo, la domanda che per mesi tutti si sono posti è stata: meglio averlo un anno ancora a Palazzo Chigi o sette al Quirinale ? Mario Draghi sta giurando la sera del 24 gennaio come Presidente della Repubblica.
Il dilemma è stato sciolto così, nell'unico modo in cui si poteva fare. E dire.
Perché in realtà c'era – c'è – un altro modo di fare. Ma che per una parte non si può dire. Non si può costituzionalmente dire.
Sono le 21 di giovedì 27 gennaio. Da poche ore il dilemma è stato sciolto così: non una sottrazione ma una somma, non un'alternativa ma un'alternanza.
Il Capo dello Stato è stato eletto alla quarta votazione, superando agevolmente la soglia della maggioranza assoluta.
Non hanno infatti avuto motivi sufficienti per non votarlo anche molti parlamentari dello schieramento avverso, che anzi in tutti questi decenni hanno apprezzato l'equilibrio di un uomo sempre comunque di parte. L'unico consigliere politico che il Grande Capo, considerato divisivo e quindi invotabile, ascolta da sempre anche quando dice cose a lui non gradite.
E nessuno nell'Aula di Montecitorio dubita neanche un attimo e neanche di una parola della sincerità della formula che Gianni Letta sta pronunciando in quel momento: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”. Fedeltà e lealtà anche di fatto, che saranno confermate e riconosciute quando nel 2023, ad 88 anni, dopo le elezioni politiche a scadenza naturale, all'inizio della nuova legislatura Gianni Letta spiegherà agli italiani che quello che lo aveva scelto era un altro Parlamento e che nelle mani del nuovo sente di dover rimettere il suo alto mandato.
La scena finale di questo film scioglie il dilemma: non uno o sette, ma uno più sette. Un film naturalmente non crea un'idea, ma può contribuire a farsene una.
Giampiero Guadagni