Professor Mirabelli, a suo giudizio le misure messe a punto dalla Ministra Marta Cartabia vanno nella direzione giusta?
Vanno certamente nella direzione giusta, ma si potrebbe fare di più e meglio. L’impegno assunto con il PNRR è quello di ridurre la durata dei processi penali del 40%, di quelli civili del 25%: attualmente il nostro Paese è in fondo nelle graduatorie internazionali. Non è solamente una necessità occasionalmente imposta dalle istituzioni europee. La Costituzione prevede che “la legge assicura la ragionevole durata” dei processi, di ogni processo. È un corollario essenziale del diritto di agire e resistere in giudizio.
Ma attenzione: per abbreviare la durata dei processi non bastano le riforme del processo, ed è illusorio che si raggiunga questo risultato mediante l’abbreviazione di termini e la introduzione di nuove preclusioni, che si scaricano sulla difesa e sugli avvocati. Occorre piuttosto far funzionare l’organizzazione. Questo vale soprattutto per il processo civile. Va certamente bene in questo senso l’introduzione dell’Ufficio del processo, che collabori con il giudice. Il problema è quello che possiamo chiamare il “debito pubblico giudiziario” che ci trasciniamo da molti anni : i tempi morti di un giudizio e lo smaltimento dei processi, che dipendono non dall’inerzia ma dall’eccessivo carico di lavoro.
Il PNRR ha previsto uno stanziamento di circa 8 miliardi di euro per la digitalizzazione dei processi, nuove assunzioni e formazione. Come far corrispondere a queste notevoli risorse aspetti organizzativi in grado di far funzionare il sistema?
Giudici di pace, Tribunali e Corti d’appello riescono a smaltire annualmente un numero di processi leggermente superiore a quelli che vengono introdotti. Negli ultimi cinque anni vi è stato un miglioramento nelle pendenze, ma occorrerebbe un anno senza che nessun nuovo processo sia introdotto, per incidere definitivamente sull’arretrato. Non essendo questo possibile, occorre un intervento straordinario che consenta di eliminarlo in quattro o cinque anni: è una condizione necessaria per raggiungere l’obiettivo della riduzione del quaranta per cento della durata dei processi civili. I benefici di un simile intervento sarebbero superiori al loro costo. A tal fine i previsti incrementi di produttività sono importanti ed essenziali, ma non risolutivi. Occorre allora aumentare il numero dei magistrati, immediatamente, anche con procedure straordinarie, per la copertura dei posti vacanti, che costituiscono circa il 10 per cento aggiuntivo degli organici. La media di toghe rispetto alla popolazione è inferiore a quella di altri Paesi europei. I giudici di pace trattano quasi la metà delle cause civili di merito. Inoltre, si potrebbe ipotizzare un reclutamento straordinario di giudici, anche onorari. per svolgere funzioni consentite ai giudici singoli anche nei tribunali. E mi chiedo se non si possa fare ricorso ad un reclutamento straordinario nella magistratura di avvocati che abbiano una adeguata esperienza professionale e prestino servizio in soprannumero per almeno cinque anni. Un tempo che dovrebbe essere sufficiente per ristabilire l’equilibrio.
La politica ha discusso poco di questo, molto invece della prescrizione: un capitolo della riforma decisamente sofferto e controverso. La soluzione adottata la convince?
Sì, è stato attribuito un rilievo a questo esito patologico del processo maggiore rispetto alle cause che lo determinano e che riguardano l’efficienza del sistema: appunto, la carenza nell’organico dei magistrati e del personale ausiliario, la ridotta produttività, la scarsa attenzione agli aspetti organizzativi, la definizione delle nuove professionalità necessarie per una efficace informatizzazione e l’introduzione di nuove modalità operative.
Nel merito, il sistema adottato è un compromesso di cui naturalmente capisco bene le ragioni politiche. La soluzione proposta dal Governo esclude la prescrizione del reato dopo il primo grado di giudizio, ma prevede la improcedibilità se il giudizio di Appello o di Cassazione non rispetta i tempi che la legge fissa come ragionevoli per ciascun grado di giudizio. E come noto dalla tagliola dell’improcedibilità sono esclusi i processi di mafia. A mio parere sarebbe stato più chiaro e lineare mantenere il criterio unico della prescrizione sostanziale esteso a tutti i gradi di giudizio, sterilizzando ogni tattica dilatoria ed escludendo dal computo, come è già largamente previsto, ogni ritardo dovuto all’imputato o ai suoi difensori. Si è scelto invece di combinare e integrare due principi: la prescrizione sostanziale e la ragionevole durata del processo come effetto dell’estinzione del processo. Temo che possano nascere contenziosi costituzionali.
I sei quesiti referendari presentati da Radicali e Lega ostacolano o aiutano il lavoro del Parlamento sul pacchetto giustizia ?
Ricordiamo sempre che i referendum in Italia hanno una funzione esclusivamente abrogatrice e non possono dunque introdurre con il loro esito norme nuove. I quesiti presentati - che riguardano tra l'altro separazione della carriere, responsabilità civile dei magistrati, riforma del Csm, abrogazione della legge Severino sulla incandidabilità, ineleggibilità e decadenza in caso di condanna - mi sembrano una forma di pressione politica. Difficile dire se si riveleranno più d’aiuto o di ostacolo al lavoro del Parlamento sulla riforma. Ma a mio giudizio su temi così altamente tecnici non si può agire colpendo con l’accetta. Serve piuttosto costruire un disegno riformatore complessivo.
Secondo lei l’Ue si può considerare soddisfatta della riforma come si sta delineando ?
Intanto credo ci sia l’apprezzamento per il fatto che il premier Draghi, che agisce a stretto contatto con la Ministra Cartabia, abbia rigorosamente rispettato i tempi della presentazione del PNRR, di cui la riforma della giustizia è asse portante. E certamente Bruxelles apprezza anche che le misure in questa materia vadano nella direzione richiesta: come detto, più efficienza e più rapidità. D’altra parte Draghi ha ben chiaro che la disponibilità di nuove risorse finanziarie offre una straordinaria occasione per raggiungere questo obiettivo. E c’è da finalmente la consapevolezza che la sollecita definizione delle controversie richiami ed agevoli gli investimenti produttivi; e che il buon andamento del servizio che lo Stato offre con la giurisdizione e la certezza dei rapporti giuridici possa determinare un incremento del prodotto interno lordo, di oltre un punto percentuale.
L’Italia ha dimostrato che, grazie anche alla necessità di rispettare i tempi collegati all’uso delle risorse finanziarie europee, può andare avanti nelle riforme. L’approvazione dal parte della Camera della riforma Cartabia della giustizia, dopo una non facile mediazione ed un doppio voto di fiducia sugli emendamenti governativi, costituisce un significativo passo in avanti. Il “metodo Draghi” funziona: le riforme possono essere proposte dal Governo rispettando i tempi programmati, sollecitamente approvate dal Parlamento.
Resta il fatto che le misure sulla giustizia devono essere attuate con la medesima tempestività, determinazione ed efficacia. Dopo essere state approvate la loro efficacia sarà infatti sottoposta a verifica dall’Unione europea anche nel corso della loro esecuzione. Ne deriva un indiretto “vincolo esterno”: una condizione per ottenere risorse da utilizzare fruttuosamente, che impone di realizzare ora la riforma giudiziaria da sempre indicata, anche nel nostro Paese, come obiettivo da perseguire.
Giampiero Guadagni
(Intervista pubblicata sul Working paper 23/21 dlla Fondazione Tarantelli)