Google sale alla ribalta nelle cronache mondiali proprio il primo maggio. Solo l’anno scorso il colosso di Mountain View aveva assunto 50 persone al giorno, tagliando così il traguardo dei 103 mila 549 dipendenti. Ma oggi, leggendo cosa raccontano alcuni ex dirigenti, vengono i brividi: in un articolo su Wired Riccardo Luna si chiede dove siano finiti i diritti dei lavoratori in questo nuovo mondo luccicante e patinato creato dalle grandi aziende della Silicon Valley. Oggi, primo maggio, un gruppo di dipendenti di Google è in protesta contro le rappresaglie seguite alla clamorosa marcia di sei mesi fa, quando ventimila dipendenti di Google in cinquanta sedi del mondo scesero in strada per manifestare il loro dissenso per il modo in cui l’azienda aveva chiuso alcuni casi di molestie sessuali. Andy Rubin, inventore di Android, il sistema operativo di quasi tutti i telefonini, insomma un genio, era stato accusato di molestie sessuali pesanti. Circostanziate, provate. E invece di licenziarlo e basta, Google gli aveva data una buona uscita di 90 milioni di dollari. Ma non è tutto: Meredith Whittaker, che guidava un importante progetto di ricerca sull’Intelligenza artificiale e l’etica, è stata rimossa dall’incarico; stesso trattamento per Claire Stapleton, che per 12 anni era stata nell’ufficio marketing di YouTube e che negli ultimi cinque era stata premiata per i risultati ottenuti. “Mettiti in malattia” le avrebbero intimato nonostante lei non fosse malata. Il New York Times riporta che il ruolo di Claire Stapleton, manager del marketing di YouTube, è stato ridimensionato. Meredith Whittaker è stata informata che la sua posizione sarà ”drasticamente cambiata” e le è stato chiesto di abbandonare il suo posto alla New York University. Certo, Google ha la risposta pronta: ”Proibiamo le ritorsioni sul luogo di lavoro e indaghiamo su tutte le accuse. I dipendenti e i team sono regolarmente e normalmente assegnati a nuovi incarichi o riorganizzati per essere in linea con l'evoluzione delle esigenze aziendali. In questo caso non c'è stata alcuna ritorsione”. Dicono loro. ”Se è questo il futuro del lavoro, va detto che assomiglia al passato. Ai padroni delle ferriere” commenta Luna. Ed è così. Perchè come avevamo già raccontato nel blog sulla ricerca Fnsi, i colpevoli di molestie vengono piuttosto premiati e le vittime rimosse dall’incarico. Google rigira la frittata, non si stacca dal cliché e punisce i dipendenti per le voci dissenzienti all’interno dell’azienda. Un fatto gravissimo.
”Non me ne sono andata – ha scritto Stapleton in una dichiarazione – perché sono contro Google, sono uscita perché sono d’accordo con la sua filosofia, perché volevo renderlo migliore. Non sto parlando contro Google, sto parlando per tutte le persone che hanno avuto troppa paura di raccontare le loro storie. E capisco bene quella paura”. Il gruppo ha successivamente pubblicato un documento interno con una nuova serie di richieste, che comprendono “un’indagine trasparente e aperta sulle risorse umane e la sua tremenda gestione dei reclami dei dipendenti in relazione alle condizioni di lavoro, discriminazione, molestie e ritorsioni”.
Le proteste dei lavoratori vertono su questioni che vanno dall’etica del lavoro svolto per il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti alla gestione delle denunce di molestie e all’uso eccessivo dei lavoratori precari in subappalto da fornitori di manodopera. Lunedì scorso un dipendente anonimo di Google ha presentato una denuncia presso il National Labor Relations Board americano, sostenendo che il suo datore di lavoro aveva violato la legge federale che vieta ritorsioni nei confronti dei lavoratori che esercitano un’attività concertata protetta. L’accusa è stata segnalata per la prima volta da Bloomberg. L’ex dipendente Jack Poulson ha dal canto suo scritto che, dopo che si è dimesso in segno di protesta, gli è stato dato un “consiglio” durante un colloquio per una ricollocazione: ”Possiamo perdonare la tua attività politica e concentrarci sui tuoi contributi tecnici fino a quando non fai qualcosa di imperdonabile, come parlare alla stampa”. L’azienda teme gli scandali ed incrina così la sua reputazione. Mettendo il bavaglio alla stampa non aiuta certo la sua immagine.
Nel Primo maggio mondiale riemerge poi l’annosa questione del rilancio delle aziende, troppo spesso mal gestite, le cui crisi vengono addossate poi sulle retribuzioni dei dipendenti. ”Viste le crescenti disuguaglianze e aziende che si appropriano di una quota sempre più importante di ricchezza tenendo in ostaggio i governi, la Confederazione internazionale dei sindacati (Ituc) chiede un nuovo contratto sociale, sostenuto da una garanzia universale per i lavoratori, in questo anno del centenario dell'Organizzazione internazionale del lavoro: ”Lavoratori di tutto il mondo stanno lottando per far fronte a diseguaglianze senza precedenti e insicurezze economiche, che minacciano la democrazia e minano la fiducia nei politici e nelle istituzioni che dovrebbero servire le persone, ma non lo fanno”. Attualmente ci sono 300 milioni di lavoratori poveri nel mondo, 190 milioni di persone ufficialmente disoccupate e il 60% di lavoratori nel mondo del lavoro informale. Ogni 11 secondi un lavoratore muore nel mondo a causa di condizioni di lavoro non sicure. ”Queste non sono solo statistiche: riflettono la storia di disperazione, privazione e rabbia. Dobbiamo stabilire le regole dell’economia globale, la cui dichiarazione che sarà adottata dall'Oil a giugno dovrebbe essere il punto di partenza”, sostiene la Ituc.
Ignorando la possibilità di un rallentamento economico più grave, Gita Gopinath, capo economista dell’Fmi, ha esortato i governi a essere pronti a rispondere con politiche macroeconomiche più accomodanti. Nelle prossime settimane il Board dei governatori Fmi voterà un quadro strategico per l'impegno in termini di spesa sociale, tra cui protezione sociale, salute e istruzione. Le Global Unions hanno sollecitato il Consiglio ad adottare una politica che sia in linea con il consenso politico globale per la protezione sociale universale.
Una nota dei sindacati internazionali riguarda poi il salario minimo. Nel suo consiglio di politica economica e nel recente articolo, lo staff dell’Fmi sostiene che l’introduzione del salario minimo sia affidata a ”esperti indipendenti”. Tali suggerimenti sono contrari alle norme internazionali sul lavoro, compresa la Convenzione n. 131 dell'Oil sulla fissazione dei salari minimi, che richiede il coinvolgimento diretto delle parti sociali e la considerazione dei bisogni dei lavoratori e dei lavoratori. ”La rimozione, come suggerito, delle procedure partecipative per la fissazione dei salari minimi è antidemocratica e porterebbe a un processo decisionale tagliato fuori dalle realtà dei lavoratori. Salari minimi adeguati dovrebbero basarsi soprattutto sulla base di una stima del costo della vita, ed essere sviluppati con il pieno coinvolgimento dei sindacati e datori di lavoro, come parte del processo trasparente tripartito” conclude la Ituc.
Sul fronte del primo maggio europeo, infine, la Confederazione europea dei sindacati (Ces) taglia corto: ”Qualcosa è andato storto nell'Unione europea. Quattro esempi testimoniano questo disturbo: il fatto che centinaia di migliaia di scatole cinesi siano state autorizzate anche se l’unico scopo di queste società fantasma è quello di eludere le tasse, le leggi sul lavoro e i regolamenti; decisioni della Corte di giustizia europea che hanno autorizzato restrizione dei diritti fondamentali dei dipendenti a supporto delle pratiche commerciali; rivelazioni regolari, come quelle di Panama Papers e Paradise Papers, che mostrano l’incapacità dell’Ue di prevenire l’evasione fiscale; l’accettazione che, nonostante drammi come il Rana Plaza, molte aziende continuino a chiudere gli occhi sui fornitori che ignorano i più basilari diritti sociali, ambientali e umani. La teoria della "supremazia degli azionisti" è stata ormai promossa dalla Commissione Europea mentre l'economia reale e i lavoratori sono stati dimenticati. Ecco perché è il momento di ripensare il ruolo degli oltre 140 milioni di lavoratori europei”.
E qui alcune proposte: limiti rigorosi alle delocalizzazioni e alle sedi fiscali; la creazione di un’autorità indipendente che regoli la mobilità dei dipendenti; il rafforzamento della partecipazione dei dipendenti nei consigli di amministrazione delle aziende; il dovere di diligenza nei confronti dei subappaltatori; un quadro di informazioni vincolanti adattato alle sfide del XXI secolo: le regole contabili non dovrebbero essere lasciate ad un'organizzazione privata (l'International Accounting Standard Board) interessata principalmente al valore per gli azionisti, ma dovrebbero tener conto della loro sostenibilità.