Il Presidente uscente aveva sempre e con forza motivato il suo no alla richiesta di bis che arrivava a gran voce da più parti e da tempo. Ma in un contesto di stallo politico derivante dal voto del 2018 - che non aveva attribuito una chiara maggioranza parlamentare con la conseguenza di faticosissime formazioni di governi - i leader di partito non sono stati all'altezza della situazione. In particolare quelli che avevano il ruolo di king-maker, Salvini e Conte. Una serie di nomi proposti senza convinzione, cariche istituzionali esposte con poco rispetto, la soluzione di genere sbandierata con toni e finalità chiaramente strumentali.
Ma questa difficoltà a trovare soluzioni condivise dipende da anche da altro, dalla contrapposizione quotidiana tra schieramenti, tra forze politiche, tra alleati, tra personalità dello stesso partito. Più che un conclave laico durante le votazioni, i leader dovrebbero forse prevedere un ritiro prima, per riaffinare il senso istituzionale. Esercizio che potrebbe aiutare la ricerca di soluzioni pratiche prima ancora che sul nome, su un metodo davvero condiviso. E sul riconoscimento reciproco. Il centrosinistra potrebbe ad esempio rendersi conto che per la storia della nostra Repubblica e per la percezione dei suoi cittadini gioverebbe dare il segnale chiaro che il Quirinale è davvero la Casa di tutti. E che non ci sarebbe, non c'è, pericolo per la nostra democrazia se venisse eletto un esponente dell'altro schieramento. Il centrodestra, da parte sua, dovrebbe evitare di considerare la partita del Capo dello Stato come una rivincita. E soprattutto in questa occasione avrebbe dovuto proporre una e una sola personalità realmente spendibile.
Sarà per la prossima volta.
Intanto sabato scorso, dopo i segnali crescenti arrivati dai Grandi Elettori, la richiesta recapitata di sabato pomeriggio direttamente a domicilio. E accettata da Mattarella con il prevedibile, straordinario senso di responsabilità. “Avevo altri piani ma se serve sono a disposizione”, ha detto l'inquilino del Quirinale che aveva già traslocato ai capigruppo saliti sul Colle per chiedergli di disfare gli scatoloni.
E nel successivo, brevissimo discorso agli italiani ha spiegato: “I giorni difficili trascorsi per l'elezione della Presidenza della Repubblica nel corso della grande emergenza che stiamo tuttora attraversando sul versante sanitario, su quello economico, su quello sociale richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati e naturalmente devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti, con l'impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini”.
L'esito finale, per quanto non voluto e non perseguito dall'inizio, è di per sé un innegabile fattore di grande stabilità: il timore generale, in Italia e in Europa, era quello di perdere Mattarella e Draghi insieme, resteranno entrambi.
L'autorevolezza delle due personalità è intatta, e forse anche rafforzata; quella politica del premier va invece garantita. Tra un anno ci saranno le elezioni politiche, i dossier sul tavolo - pandemia, Pnrr, lavoro - sono davvero fondamentali per il futuro del Paese. E il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti chiede già una messa a punto dell'azione dell'Esecutivo.
Il Governo rischia seriamente di pagare la debolezza delle coalizioni uscite parecchio ammaccate dalla partita Quirinale. Se questo centrodestra sembra sul punto di implodere, anche i rapporti tra Pd e Movimento 5 Stelle - almeno la componente che si riconosce in Conte – sono ormai improntati a grande diffidenza. Non solo: all'interno dei singoli partiti nessun leader può dire di avere il controllo dei propri gruppi parlamentari, come dimostra anche l'andamento delle sette votazioni che hanno preceduto quella risolutiva. Siamo insomma forse alla vigilia di una scomposizione e ricomposizione dei poli.
Sullo sfondo, la battaglia già preannunciata sull'ipotesi di nuova legge elettorale. E qualcuno, inoltre, si augura che Mattarella sia l'ultimo presidente della Repubblica non eletto direttamente dai cittadini.
Una proposta legittima. Sulla quale potrebbe essere più facile un confronto di vero merito nel momento in cui la partita Quirinale ha segnato l'esaurimento della forza propulsiva del populismo in salsa italiana. Con la consapevolezza - chi più chi meno, chi in un modo chi nell'altro – che la politica è ricerca di faticosi compromessi. Che non sempre sono ”vergognosi inciuci”. Anzi, come in questo caso, possono essere il segno di una nobile arte.
E appunto per entrare subito nel merito, vale la pena su questa specifica materia fare riferimento alle parole del neo Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato. L'elezione diretta del Capo dello Stato, sottolinea Amato, “può produrre diversi benefici ma non si può incastrare nel sistema costituzionale così come è”. I sistemi costituzionali, ha spiegato, “sono come gli orologi. Non è detto che se togli una rotellina la puoi inserire in un altro orologio e farlo funzionare. Le rotelle devono essere incastrate tutte insieme”.
Giampiero Guadagni