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Emergenza

L’Europa si dà i 15 giorni

Il giorno dopo la fumata nera al vertice dei 27 leader Ue, la tensione resta altissima. E nelle posizioni contrapposte del rinato fronte rigorista e di quello solidale (capeggiato dall’Italia) i quindici giorni che la Ue si è presa per mettere a punto la nuova strategia anti-crisi economica ricordano sinistramente i termini di reciproco preavviso di licenziamento e di dimissioni.

Nel riassumere la situazione, cerca di ricostruire ponti il presidente del PIarlamento di Strasburgo Sassoli: ”I governi nazionali non sono l'Europa. Ci saremmo aspettati una più forte assunzione di responsabilità. Ora abbiamo due settimane di tempo per lavorare, sperando che si sciolgano le riserve e vengano date risposte. Le istituzioni europee stanno combattendo per difendere i nostri cittadini, le nostre vite e la nostra democrazia. Nessuno può uscire da solo dall’emergenza, per questo la miopia e l’egoismo di alcuni governi vanno contrastati”.

Sul tavolo c'è tutto e niente allo stesso tempo: la dichiarazione comune non cita né il Mes, che l'Italia ha fatto rimuovere, né uno strumento di debito comune, a cui i rigoristi continuano ad opporsi. Quindi il confronto che proseguirà nei prossimi giorni non esclude nulla ma riparte esattamente da dove era iniziato: da un'Europa divisa tra chi vuole condividere risorse e rischi e chi invece preferisce gestirsi le crisi da solo. La palla ripassa ora all'Eurogruppo. Il testo è sufficientemente vago da accontentare tutti, e riprende anche l'ultimatum che il premier Conte, a metà riunione, aveva dato ai colleghi: ”Dieci giorni per battere un colpo”. Perché se si pensa di usare gli strumenti del passato, con aiuti indirizzati ai singoli Stati, ”non disturbatevi, l'Italia non ne ha bisogno". Nessuno, insomma, si è spostato dalle posizioni che aveva entrando nella sala virtuale del primo vertice di primavera in videoconferenza della storia. Da parte sua la cancelliera Merkel ha ribadito la posizione della Germania che preferisce il Mes come strumento fatto per le crisi. Con la Germania sono schierate l'Austria, la Finlandia e l'Olanda, tutti contrari ai coronabond.

Il fronte dei rigoristi non si vedeva così compatto dai tempi dell'austerità imposta alla Grecia. Da allora, molto sembrava essere cambiato: il mea culpa dell'ex presidente della Commissione Ue Juncker e la disponibilità della nuova Commissione ad un approccio più flessibile sui conti pubblici.

Con l'Italia, invece, ci sono Francia, Spagna, Irlanda, Belgio, Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia, firmatari con Conte della lettera sui Coronabond.

Intanto l’Ocse avverte: ”I costi elevati per una risposta da parte delle autorità sanitarie pubbliche sono necessari per evitare conseguenze molto più tragiche e un impatto ancorapeggiore sulle nostre economie domani”. Per ogni mese di stop dell'attività a causa dell'emergenza ”le principali economie mondiali rischiano di perdere 2 punti percentuali di crescita annuale”.

Da parte sua il Fondo monetario internazionale è pronto a utilizzare la sua capacità finanziaria da 1.000 miliardi di dollari per sostenere i suoi Paesi membri. E avverte: ”Con un improvviso arresto dell'attività economica, la produzione globale si contrarrà nel 2020. La priorità - afferma l’Fmi - dovrebbe essere data al sostegno fiscale mirato alle famiglie e alle imprese vulnerabili per accelerare e rafforzare la ripresa nel 2021”.

( 27 marzo 2020 )

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