Tra gennaio e luglio sono stati denunciati all'Inail 380mila infortuni sul lavoro, 591 dei quali con esito mortale. Entrambi i dati sono in crescita rispetto allo stesso periodo del 2016.Nei primi sette mesi di quest'anno le denunce d'infortunio pervenute all'Inail sono state, appunto, 380.236, 4.750 in più rispetto allo stesso periodo del 2016 (+1,3%), per effetto di un aumento infortunistico dell'1,2% registrato per i lavoratori (2.832 casi in più) e dell'1,4% per le lavoratrici (oltre 1.900 in più). All'incremento hanno contribuito soltanto la gestione Industria e servizi (+2,1%) e la gestione Conto Stato dipendenti (+3,6%), mentre Agricoltura e Conto Stato studenti delle scuole pubbliche statali hanno fatto segnare un calo pari, rispettivamente, al 5,0% e all'1,9%.Le denunce d'infortunio mortale presentate all'Istituto nei primi sette mesi di quest'anno sono state 591, 29 in più rispetto ai 562 decessi dell'analogo periodo del 2016 (+5,2%). L'incremento è legato principalmente alla componente maschile, i cui casi mortali sono saliti da 506 a 531 (+4,9%), mentre quella femminile ha fatto registrare un aumento di quattro casi, da 56 a 60 decessi (+7,1%). L'aumento di 29 denunce d'infortunio con esito mortale è la sintesi di andamenti diversi osservati nelle singole gestioni. Quella dell'Industria e servizi, infatti, è la sola che ha avuto un incremento, decisivo nel saldo negativo finale, da 450 a 497 casi (+10,4%), mentre Agricoltura e Conto Stato presentano entrambe una diminuzione rispettivamente da 80 a 76 casi (-5%) e da 32 a 18 (-43,8%).
"L'aumento di 29 infortuni mortali sul lavoro, accaduti tra gennaio e luglio di quest'anno, in confronto a quanto registrato lo scorso anno - sulla base dei dati del primo semestre, comunicati ieri dall'INAIL - è allarmante". Lo afferma in una nota il segretario confederale della Cisl, Angelo Colombini. "Il segnale negativo di una interruzione del trend a saldo positivo dei dati relativi agli infortuni, mortali e gravi - sottolinea Colombini - era già arrivato con i dati contenuti nella Relazione annuale 2016 dell'Inail, presentata lo scorso Luglio, quando il dato segnava un incremento dello 0,7% per gli infortuni gravi. Oggi i dati ci dicono che, per questi ultimi, l'aumento è del 1,3% e per i mortali del 5,21%. Di fronte a queste percentuali non si può non prendere atto che con la crescita dell'occupazione, crescono gli infortuni mortali e gravi. I flebili segnali positivi che di fatto si stanno registrando sul piano della ripresa sembrano andare drammaticamente di concerto con quelli dell'aumento degli accadimenti infortunistici sul lavoro. Così, in particolare, il rilevante aumento nel settore industria e nei servizi, con un incremento del 10,4% dei casi mortali, che in termini di vite umane significa, 47 persone - donne e uomini - che non hanno fatto più ritorno a casa dopo il lavoro, rispetto allo stesso periodo e settore del 2016". Alla preoccupazione per questi dati, si aggiunge il dover considerare che una condizione come il nostro Paese da tempo sta vivendo, di quasi 3 morti sul lavoro al giorno, non rappresenti attualmente una delle priorità di intervento che richiama ad uno sforzo straordinario, svolto in modo coeso tra i diversi attori della prevenzione, a partire dal Governo, dalle istituzioni preposte, nazionali e locali, in piena sinergia con le Parti sociali, sindacati ed associazioni datoriali. Occorre, pertanto, che si aggredisca il problema in modo determinato e con un piano d'azione (leggi Strategia nazionale di prevenzione, che nel nostro Paese manca), con la partecipazione di tutti, facendo della tutela e del rispetto delle regole, non una scelta di stile o una modalità illuminata di fare impresa, ma assi fondamentali e imprescindibili, ottenuti anche attraverso maggiori controlli ed il rafforzamento del ruolo delle figure preposte alla tutela della salute e sicurezza nelle diverse realtà lavorative. Tollerare ancora questa situazione - conclude il segretario confederale della Cisl, Angelo Colombini - ci rende tutti co-responsabili di una piaga sociale che, considerando anche i dati sulle malattie professionali (dove la diminuzione di denunce e, pertanto, lo stop alla riemersione, deve preoccupare, anziche' rassicurare), rende il nostro Paese non pienamente all'altezza di potersi annoverare tra quelli definiti civili".