Dopo lunghe e faticose conference call, Cgil Cisl Uil di Bergamo, insieme a Confindustria, altre associazioni datoriali e ATS, hanno siglato il protocollo per la ripartenza nella bergamasca. Così, anche l’epicentro del contagio ha trovato il suo punto di incontro su quella "Fase 2" invocata e idealizzata diversamente dalle parti in gioco. Confindustria, soprattutto qui, preme perché alle aziende si dia la possibilità di rimettersi al lavoro; i sindacati pretendono che la cosa non sia gestita in maniera anarchica e che, soprattutto, sia data priorità alla tutela della salute delle persone.
Nella fattispecie, Cisl Bergamo ha spinto per prevedere, appena possibile, l’introduzione dei tamponi e dei test sierologici visto il gran numero di contagi non monitorati; perché la responsabilità sociale delle aziende sia confermata dalle azioni dei singoli imprenditori, e perché "bisogna assicurare che la riapertura delle aziende porti alla ripartenza del Paese, non alla ripartenza del Coronavirus".
"Abbiamo ritenuto utile e necessario definire un protocollo condiviso a livello territoriale per tutelare, con indicazioni corrette, i lavoratori e le lavoratrici nelle aziende in cui si opera già e in quelle che si riattiveranno dopo il blocco delle attività - sottolinea Francesco Corna, segretario generale della Cisl orobica. È un accordo che pone le basi per una gestione condivisa tra imprese e rappresentanti dei lavoratori, con l’obiettivo di evitare azioni scoordinate e dannose per la salute".
In provincia il numero di aziende che ha già ripreso o non ha mai interrotto la produzione è particolarmente alto: nonostante la bergamasca sia l’epicentro dell’epidemia, infatti, quasi la metà delle aziende meccaniche non si è mai fermata; le chimiche girano a pieno ritmo da sempre; un importante numero di aziende del comparto costruzioni si sta autocertificando per riprendere o continuare l’attività. A oggi, sono migliaia le comunicazioni presentate da parte di altrettante imprese che chiedono la deroga per poter tornare a produrre. Nel frattempo, oltre 11.mila sono state le richieste di cassa, per 156.374 lavoratori coinvolti, compresi quelli delle aziende artigiane, dove la Cisl ha gestito 2.400 domande di intervento in base al Fsba per circa 9mila dipendenti.
Il "protocollo Bergamo" trova la sintesi con regole operative chiare e strumenti comprensibili per chi deve e può lavorare, stabilendo innanzitutto rientri al lavoro con modalità graduali.
Rispetto al protocollo nazionale, il testo provinciale tratta dettagliatamente gli aspetti più pratici di sicurezza aziendale nell’ambito dei processi produttivi, tra cui i tipi di dispositivi di protezione individuale previsti, le misure organizzative da adottare per garantire il distanziamento sociale, il ruolo del medico competente, l’organizzazione degli uffici, delle aree di produzione e dei magazzini e l’utilizzo dei mezzi aziendali.
Si tratta di procedure fondamentali e necessarie per coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative, in base alle specificità del territorio provinciale di Bergamo.
Così, il tessuto produttivo bergamasco ha a disposizione un insieme di procedure e metodi organizzativi, di strumenti e di comportamenti che consentono di riprendere le attività produttive, sempre nel rispetto del Dpcm in vigore, coniugando, all’interno dell’impresa, la tutela della salute e sicurezza e la sua efficiente operatività.
"Il protocollo - conclude Corna - non è l’autorizzazione a ripartire. Per la ripartenza ci atterremo alle indicazioni nazionali, ma è uno strumento grazie al quale possono essere riorganizzati i luoghi di lavoro in funzione della migliore gestione della pandemia, adesso e in seguito. Tale riorganizzazione richiede attenzione e competenze, con indicazioni univoche e condivise, supportate dal punto di vista tecnico-scientifico. L’attenzione alla salute in questa fase deve essere massima per evitare ricadute - che la nostra provincia più di altre non può permettersi - e per non vanificare con comportamenti sbagliati i sacrifici e le troppe tragedie familiari vissute. All’interno di tale riorganizzazione l’utilizzo sistematico dello smart working, nella fase di ripartenza, si renderà ancor più necessario, anche per conciliare al meglio le esigenze familiari con quelle lavorative".
Stefano Contu