Giovedì 12 dicembre 2024, ore 7:23

Scenari

India, il sacrificio amaro delle lavoratrici nelle piantagioni di canna da zucchero

Sono le “sugar girls”. Il soprannome potrebbe evocare allegria, ma la realtà è piuttosto amara. Quasi il 40% delle raccoglitrici di canna da zucchero (oltre 100 mila) nella regione di Beed, nell’India meridionale, infatti, si sottopone ad isterectomia per non perdere il posto. Via l’utero, insomma, pur di mantenere il lavoro. Chi lavora nei campi vive nelle capanne o tende, non ci sono servizi igienici, la raccolta avviene anche di notte e non ci sono orari fissi. A causa delle cattive condizioni igieniche, molte donne prendono infezioni e molti medici senza scrupoli, invece di garantire le comuni norme, le incoraggiano a sottoporsi a interventi chirurgici non necessari. “Alcune volte, quando ci rifletto, non sono diversa da una macchina”: esordisce così una delle donne intervistate, che parla mentre si piega a raccogliere le canne da lei tagliate che poi raccoglie in fasci sempre uguali. Lavora ininterrottamente, sempre allo stesso ritmo, con qualsiasi condizione fisica e metereologica. Queste donne sono i “coltelli dello zucchero”: lavoratrici agricole sfruttate come raccoglitrici di canna da zucchero che per sopportare i ritmi e le condizioni oppressive di lavoro si lasciano asportare chirurgicamente una parte del corpo così avranno meno motivi - come il dolore mestruale o dovuto ad altro - per fermarsi. E’ il mukadam che gestisce tutto: paga in anticipo 1100 euro a coppia di lavoratori per i sei mesi di lavoro di raccolta. La maggior parte di queste donne a 20 anni ha già due o tre figli, quindi i medici trovano terreno fertile nel convincerle a sottoporsi agli interventi. Per questo motivo, interi villaggi sono stati ribattezzati come “villaggi di donne senza grembo”. Ma è questo il lavoro del futuro, la schiavitù degli organi, asportati per favorire la produttività come robot? Porsi domande è immancabile: queste lavoratrici vengono sterilizzate abusivamente? Qual è la responsabilità dell’industria dello zucchero nella loro malattia dolorosa? E’ l’analisi da cui parte France Tv2 nell’inchie sta in cui denuncia l’asporta zione dell’utero e delle ovaie nell’attività lavorativa.

Esposizione a metalli pesanti

Ma i dolori non si fermano neppure con la chirurgia e il calvario delle donne non fa che peggiorare. La maggior parte delle donne ha meno di 40 anni e in tante dicono che la loro salute è peggiorata da quando hanno subito l’ intervento chirurgico. Una donna ha parlato di “dolo re persistente alla schiena, al collo e al ginocchio” e di come si sveglia al mattino con “ma ni, viso e piedi gonfi”. Un’ altra si lamentava di “vertigini costanti” e di come non fosse più in grado di percorrere anche brevi distanze. Di conseguenza, entrambe hanno affermato di non essere più in grado di lavorare nei campi. La maggior parte delle donne avrebbe sviluppato fibromi o endometriosi. Non è dunque un sacrificio “dolce” lavorare nelle canne da zucchero. Queste patologie potrebbero infatti essere dovute all’esposizione ai metalli pesanti. Potrebbe esserci anche un legame con l’in quinamento ambientale e l’u so, nell’agricoltura indiana, di pesticidi e fertilizzanti agricoli. Hikmasummit.com

parlava dello sfruttamento e del fenomeno isterectomia anche prima del canale francese: povertà, ignoranza, proprietari terrieri e chirurghi senza scrupoli spingono le donne indiane a stravolgere il proprio corpo. Sono terribili le conseguenze dello sfruttamento lavorativo nel gigante asiatico, in parallelo con un’as sistenza sociale in lotta contro un sistema criminale. Ogni anno, l’inizio dell’autunno dà il via alla raccolta dello zucchero nell’India occidentale. Oltre un milione e mezzo di persone appartenenti alle caste sociali inferiori si trasferiscono nello stato del Maharashtra, lo sugar belt indiano, dando vita alla migrazione stagionale più ampia al mondo. Un rapporto indù sostiene che oltre 5-6 milioni di persone emigrano ogni anno per lavorare nell’indu - stria del taglio della canna da zucchero. Mentre nei campi, questi lavoratori sono alla mercé degli appaltatori. La raccolta e il taglio continuano anche di notte. Donne e bambini subiscono abusi, incidenti sul lavoro e privazione di cibo, sottomessi al volere dei proprietari terrieri.

Non c’è posto per la stanchezza

La rassegnazione: “Che altro lavoro potremmo fare? Così guadagniamo qualcosa. Dobbiamo pur sfamare i nostri figli”. Sheshekala non sa quanti anni ha, ma sa che da vent’an ni lavora in quei campi. Lei e tutte le altre tagliatrici di canne da zucchero svolgono turni massacranti, lavorando al ritmo rapido e costante imposto dal mukadam, il supervisore. Schiena e gambe mi fanno male – dice Sheshekala – ma dobbiamo lavorare senza sosta, anche se malate. Tre minuti per ogni fascio di canne, questa è la regola. La stanchezza non è una buona ragione per fermarsi e assentarsi per malattia comporta multe salatissime. Pagare in anticipo, infatti, consente al mukadamversa di dettare regole stringenti e di tenere in pugno i subalterni. Al primo posto c’è la produttività. Anche il riposo è ridotto all’osso: di notte, le donne cucinano ai figli il pasto per il giorno dopo e i mariti si occupano degli animali.

Una scelta irreversibile

I mukadam considerano questo fenomeno legittimo poiché le donne scelgono autonomamente la rimozione per poter guadagnare di più. I datori di lavoro prendono le distanze, sostenendo che non possono dire alle lavoratrici come spendere i propri soldi e si schierano dalla parte dei medici, affermando che sono anch’essi dei lavoratori e che con le operazioni si guadagnano da vivere.

Raffaella Vitulano

( 3 giugno 2022 )

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