Il cammino per l'emancipazione femminile resta ancora lungo e pieno di ostacoli. In Italia come nel resto del mondo. A ricordarcelo, ogni anno, ci sono decine di rapporti che vedono la luce proprio in occasione dell'8 marzo. L'occasione - come sollecita Annamaria Furlan nell'editoriale pubblicato oggi su Conquiste del Lavoro - "per rinserrare le fila e ridare slancio alle azioni ed alle strategie della Cisl protese al riconoscimento dei diritti delle donne che siamo soliti riassumere, nei concetti di parità e pari opportunità".
La segretaria generale della Cisl, in un comunicato, ringrazia anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il suo messaggio alle donne, che - dice Mattarella - rappresentano il pilastro della società civile ed uno degli elementi fondativi della nostra Repubblica. "Sono parole bellissime e di grande speranza", sottolinea Furlan che oggi ha partecipato alla cerimonia al Quirinale. “E’ stato un discorso di grande intensità emotiva e davvero significativo quello che abbiamo ascoltato oggi dal Presidente della Repubblica Mattarella. In particolare abbiamo apprezzato che il Capo dello Stato abbia ricordato che il ritardo sul piano occupazionale delle donne incide negativamente sulla crescita e sull’andamento demografico del nostro paese".
Un ottimo spunto di riflessione è rappresentato anche dallo studio pubblicato oggi dall'Ilo che evidenzia come nonostante alcuni modesti miglioramenti in alcune regioni del mondo, milioni di donne stiano perdendo posizioni nella loro ricerca per l'uguaglianza nel mondo del lavoro.
“Il rapporto mostra le enormi difficoltà che le donne continuano ad affrontare nel trovare e mantenere un lavoro dignitoso”, ha sottolineato, presentando lo studio, il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, aggiungendo che l’Agenda 2030 deve essere l’occasione "per unire i nostri sforzi e sviluppare politiche integrate per il raggiungimento della parità di genere”.
Il rapporto Women at Work: Trends 2016 (“Donne a lavoro: Tendenze 2016”) esamina i dati di circa 178 paesi e conclude che la disuguaglianza tra uomini e donne persiste e riguarda un ampio spettro di problemi nel mercato del lavoro globale. Il rapporto mostra inoltre che il progresso significativo delle donne in termini di livelli d’istruzione non si è tradotto in un miglioramento della loro posizione nel mercato del lavoro. A livello globale, il divario occupazionale di genere si è ridotto di soli 0,6 punti percentuali dal 1995, con un tasso d’occupazione del 46 per cento per le donne e di quasi 72 per cento per gli uomini nel 2015.
Secondo il rapporto le donne continuano a lavorare più ore al giorno rispetto agli uomini sia nel lavoro retribuito che nel lavoro non retribuito. Nei paesi ad alto ed a basso reddito, la partecipazione delle donne al lavoro domestico e a quello di cura e assistenza familiare è di 2,5 volte maggiore rispetto a quella degli uomini. Nelle economie sviluppate, le donne occupate (sia nel lavoro autonomo che in quello salariato e subordinato) lavorano in media 8 ore e 9 minuti al giorno in lavori retribuiti e non retribuiti, rispetto alle 7 ore e 36 minuti lavorate degli uomini. Nei paesi in via di sviluppo, le donne trascorrono 9 ore e 20 minuti in lavori retribuiti e non retribuiti, mentre gli uomini trascorrono 8 ore e 7 minuti. La quota sproporzionata del lavoro non retribuito limita la capacità delle donne di aumentare il numero di ore impiegate in lavoro retribuito nell’economia formale. Di conseguenza, a livello mondiale, le donne - che rappresentano meno del 40 per cento dell'occupazione totale - costituiscono il 57 per cento dei lavoratori retribuiti che lavorano meno ore ed in lavori a tempo parziale.
Le molteplici difficoltà che devono affrontare le donne nel mercato del lavoro hanno un impatto significativo su tutto l’arco della vita. La copertura pensionistica (sia legale che effettiva) è inferiore per le donne rispetto agli uomini. A livello mondiale, la percentuale delle donne che ha superato l’età pensionabile e che beneficia di una pensione è in media di 10,6 punti inferiore a quello degli uomini. Le donne rappresentano quasi il 65 per cento delle persone che hanno superato l’età pensionabile (60-65 anni o più, secondo la legislazione nazionale nella maggior parte dei paesi) e che normalmente non ricevono alcuna pensione. Ciò significa che circa 200 milioni di donne in età avanzata (rispetto a 115 milioni di uomini) vivono senza un reddito derivante da pensione di vecchiaia o reversibilità.
Ma quanto costa la disparità di genere in termini economici? Secondo uno studio diffuso sempre oggi dall’Ocse, le discriminazioni nei confronti delle donne nella società e nel mondo del lavoro hanno un impatto “sostanziale” sull’economia globale, con un costo in termini di reddito di circa 12 mila miliardi di dollari, pari al 16% del Pil mondiale, con un duplice effetto negativo, perchè “riduce sia il livello del capitale umano femminile, sia la partecipazione alla forza lavoro e la produttività totale”. Se si riuscisse a raggiungere la parità di genere, calcola sempre l’Ocse, nel 2030 il reddito pro capite medio mondiale arriverebbe a 9.142 dollari, ben 764 dollari in più di quello che si potrebbe ottenere se i livelli di discriminazione restassero quelli odierni. Un effetto che sarebbe benefico soprattutto per i Paesi meno sviluppati, che oggi subiscono più pesantemente l’impatto della limitata partecipazione femminile al mondo del lavoro sul loro reddito nazionale.
Una battaglia condivisa anche dalla Cisl, che tra le tante iniziative a sostegno dell’emancipazione delle donne oggi ha deciso di dare il proprio contributo al progetto della “Casa Speranza” dell’Anolf di Vercelli, una struttura dedicata alla tutela ed alla protezione delle donne vittime di abusi e violenze, in grado di accogliere alcune donne con i propri figli. Il contributo della Cisl - ha spiegato la segretaria generale, presentando l'iniziativa - permetterà di completare e rendere più efficiente questa struttura di accoglienza.