C'era una volta la secessione in Italia, come argomento politico, era il tema che sventolava la Lega di Umberto Bossi tra l'ampolle del Po e gli slogan di "Roma ladrona, la Lega non perdona". Oggi - mentre la Spagna consuma il proprio scontro civile tra Madrid e Barcellona, con la Catalogna che spinge per tenere il referendum sulla propria indipendenza - in Italia la secessione è stata archiviata dalla svolta politica data alla Lega da Matteo Salvini. Cosa ha fatto Salvini? Ha deciso di cambiare radicalmente linea rispetto al Carroccio di Bossi, di mollare il mito del nord italiano contro il sud e di fare della Lega un movimento nazionale. Per fare questo Salvini ha puntato, al sud, anche su "Noi con Salvini", il soggetto politico nato nel 2014 per far raccogliere voti al centro Italia, al sud e nelle isole. Per adesso Salvini di voti in queste aree geografiche ne ha raccolti pochi ma già il test delle elezioni regionali in Sicilia ha fatto emergere l'asse Salvini-Meloni per spezzare una eventuale svolta, verso il centro di Alfano, di Forza Italia, riuscendo così a spuntare la candidatura di Musumeci come candidato governatore per il centrodestra. La scommessa di Salvini, dunque, abbandonata la secessione, si gioca su due tavoli: maggiore autonomia fiscale regionale ed in questo senso vanno i due referendum che si terranno in Lombardia e Veneto il 22 ottobre (nulla a che vedere con la scelta referendaria catalana di Indipendenza dalla Spagna), test di voto nelle due regioni a guida leghista. E, secondo, poter contendere la leadership del centrodestra a Silvio Berlusconi, spostando per la prima volta il baricentro dell'alleanza dei moderati da Forza Italia alla Lega. Un progetto politico ambizioso quello del leader leghista che, seppur solidarizzando con i catalani dopo il blitz della guardia civil nazionale dei giorni scorsi, ben si guarda da intraprendere un cammino simile. Poche sere fa, andando ospite nel salotto tv di Bruno Vespa, a Porta a Porta, Salvini ha messo in fila i punti del programma che intende mettere in campo, accentuando il suo dualismo politico rispetto a Berlusconi ed il bipolarismo rispetto al Pd e soprattutto rispetto al suo leader Matteo Renzi. "Sì, non vedo l'ora che gli italiani possano tornare a votare" - ha detto il leader della Lega. Che poi ha aggiunto: "Il mio avversario non è Berlusconi, lui è stato un rivoluzionario è importante che raccolga tanti voti altrimenti io come faccio a fare il premier. Io lavoro per un centrodestra compatto, non voglio riciclati, e poi dopo Monti, Letta, Renzi e Gentiloni si deve far capire agli italiani che si può andare in Ue senza cappello in mano". Sulla legge elettorale, ritornata in queste ore prepotentemente di attualità per via della nuova proposta PD, Salvini ha sottolineato il suo "no a minestroni per raccogliere voti. Se la legge resta questa ci saranno tutti i simboli. Sommeremo i voti per superare il 40%, se non succede vedremo chi prende i voti per ragionare, certo è che mai nella vita governerò con il Pd". Quanto all'idea di un governo con i grillini - dopo il voto, in una alleanza su pochi punti di programma, Salvini ha detto che "dipende tutto dal programma". Insomma, la nuova Lega non più secessionista, si lascia mani libere a tutto campo, in attesa di capire probabilmente anche le intenzioni di Forza Italia in vista delle politiche ma soprattutto in vista di una conta di voti, che ci sarà sicuramente, dato il sistema proporzionale con cui ormai sicuramente si voterà nel 2018. In quest'ottica è probabile che anche la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, in vista della festa di Atreju del suo partito voglia lanciare la propria candidatura a premier. In questo modo saranno tre i candidati del centrodestra, Berlusconi, Salvini e Meloni. Una gara a tre che dovrà misurare la forza dei singoli partiti e complessiva del centrodestra con una novità rispetto agli anni passati: non ci sarà più una Lega concentrata solo sul Nord ma a tutta Italia. Intendiamoci, potrebbe essere anche un limite per Salvini e il Carroccio perché magari qualche suo elettore al nord potrebbe storcere la bocca ma è il prezzo politico da pagare per diventare leader nazionale e dire addio una volta per tutte al mito (bossiano) della Padania.