Nel momento del suo massimo trionfo, se ne va: inforca la sua motocicletta e si dilegua. Ce lo ricorderemo così il ministro delle Finanze greco Yannis Varoufakis. Ambiguo e per molti versi incomprensibile fino all'ultimo. Le sue dimissioni, in realtà, le aveva già preannunciate: "Se vince il sì - aveva detto - me ne vado". Invece ha vinto il no. E non per un soffio, come la maggior parte dei sondaggisti prefigurava, ma con uno schiacciante 61,3% a fronte del 38,7 % raggranellato dai sì. Lui, però, se ne va lo stesso, spiazzando tutti. Come tutti ci aveva spiazzato facendo il suo ingresso sulla scena politica ateniese senza cravatta e con la camicia fuori dai pantaloni. Ufficialmente le sue dimissioni dovrebbero servire per facilitare un accordo tra la Grecia ed i suoi creditori. Come Leonida di Sparta, che nel 480 a.C. decise di fronteggiare gli invasori (le truppe di Serse I, re della Persia) insieme a soli trecento spartani per consentire al greco Temistocle di sottrarre il suo esercito all’accerchiamen - to persiano, così Varoufakis ha offerto la sua testa e, dopo la storica giornata del 5 luglio, ha rimesso il proprio mandato di ministro per favorire la ripresa dei negoziati e il raggiungimento di un’intesa con i creditori. A metà tra la stizza e il messaggio politico è stato lo stesso ministro delle Finanze greco ad usare parole cristalline per giustificare la propria scelta: “Subito dopo l'annuncio dei risultati del referendum, sono stato informato di una certa preferenza di alcuni membri dell'Eurogruppo e di ‘partner’ assortiti per una mia... ‘Assenza’ dai loro vertici, un'idea che il primo ministro ha giudicato potenzialmente utile per consentirgli di raggiungere un'intesa", ha scritto Varoufakis, lasciando intendere che possa essere stato lo stesso premier a chiedergli un passo indietro. "Considero mio dovere aiutare Alexis Tsipras a sfruttare comeritiene opportuno il capitale che il popolo greco ci ha garantito con il referendum di ieri", ha aggiunto l'ex ministro, “e porterò con orgoglio il disgusto dei creditori“. Di certo l’eccentrico economista ellenico non resterà disoccupato. Come ha scritto ieri Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, lo attende un futuro da conferenziere, da professore itinerante in giro per il mondo chiamato a spiegare - in qualità di testimonial di “un altro mondo possibile” - l'irragionevolezza di un sistema europeo dove i creditori del governo greco e i negoziatori istituzionali della Commissione appaiono talmente interscambiabili da rendere evidente il fallimento del progetto europeo. Messa così, non è difficile credere che oggi il più sollevato di tutti sia proprio Varoufakis, che dopo aver complicato non poco le trattative tra l’Eurogruppo e la Grecia torna almondoaccademico di cui, in fondo, ha sempre fatto parte. Ora toccherà a Tsipras, se ne sarà capace, riannodare il filo del dialogo con la cancelliera Angela Merkel, la vera sconfitta del referendum greco, e per questo la meno incline a concedere una nuova apertura di credito ad Atene. La dichiarazione di Sigmar Gabriel, segretario della Spd e ministro dell’Economia del governo tedesco, - “Tsipras sta condannando la Grecia, un accordo è quasi impossibile”, in estrema sintesi - subito dopo l’esito del referendum la dice lunga sullo stato d’ani - mo della Germania e sulla possibilità di un accordo con Atene. E se questo è il clima nella sinistra tedesca, figuriamoci tra i falchi della Cdu-Csu, che avrebbero abbandonato la Grecia al suo destino già da tempo! Per la Cancelliera, dunque, che in questa vicenda si è giocata parecchio del suo capitale politico, spendendosi per una mediazione che non c’è stata, lo scenario si presenta tutt’al - tro che idilliaco. Ma anche Tsipras rischia grosso, perché nonostante la vittoria referendaria, difficilmente i creditori europei e il Fondo Monetario Internazionale accetteranno una proposta diversa da quella da loro avanzata solo una settimanafa. Sullo sfondo simuovono gli Stati Uniti, soddisfatti per lo schiaffone rifilato alla Merkel ma preoccupati per un possibile intervento diretto di capitali russi o cinesi nelle esangui casse greche. Anche così si spiega il clima di attesa che si respira a Francoforte, con una Bce ancora una volta divisa tra i diktat di Berlino e le pressioni di Washington. In mancanza di chiarezza, a rischiare di più, di sicuro, sono i greci. Ma anche i Paesi più esposti ai contraccolpi finanziari tra cui l’Italia. L’unico che non rischia più nulla è proprio Varoufakis, che come tanti accademici passati anche per i dicasteri nostrani, tornerà ad insegnare le teorie di quello che in pratica non è riuscito a realizzare. Con buona pace degli idealisti veri di cui il mondo ha ancora un disperato bisogno.